ABSTRACT
LA PREVENZIONE E LA RISOLUZIONE DEI CONFLITTI DI GIURISDIZIONE NELLO SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA
Cosimo Emanuele Gatto (Dottorando di ricerca in Diritto processuale penale)) - cosimoemanuele.gatt2@unibo.it
Nel panorama europeo una delle tante sfide che devono essere ancora vinte è quella di dotarsi di un potere giurisdizionale europeo in grado di accertare e reprimere efficacemente gli “illeciti eurounitari”. Infatti, la libera circolazione delle persone ed il libero scambio delle merci se, da un lato, costituiscono un fattore ineguagliabile di integrazione e arricchimento socioeconomico, dall’altro, facilitano l’insorgere di crimini europei, caratterizzati ontologicamente da elementi di transnazionalità. In casi di questo genere più Stati membri potrebbero contemporaneamente vantare un collegamento con il reato e dunque rivendicare per sé l’esercizio della giurisdizione, dando il destro all’annosa pratica delle indagini parallele ed al relativo incremento della “litispendenza europea”, ossia la contemporanea pendenza in più Stati membri di procedimenti aventi ad oggetto un idem factum nei confronti di una medesima persona. Ciò facilità, dunque, l’insorgere di conflitti di giurisdizione tra i vari Paesi europei. All’interno dello Spazio di libertà sicurezza e giustizia (SLSG) occorre dunque impedire, da un lato, la presenza di spazi di impunità e, dall’altro, che uno stesso soggetto debba contemporaneamente difendersi per la medesima condotta dinnanzi alle autorità giudiziarie appartenenti a Stati membri diversi.
Nell’assenza di un potere giurisdizionale comune, l’Unione europea, con la Decisione quadro 2009/948/GAI, ha ideato un meccanismo che ha come obiettivo, principale non quello di prevenire i conflitti di giurisdizione, ma «di promuovere una più stretta cooperazione tra le autorità competenti di due o più Stati membri che conducono un procedimento penale ai fini di una più efficiente e corretta amministrazione della giustizia» ed impedire violazioni del ne bis in idem. Questo sistema – fondato principalmente sulle consultazioni tra le autorità giudiziarie dei diversi Paesi – si è dimostrato inefficace e problematico in ordine, quantomeno, a due profili. Il riferimento è, in primo luogo, al principio del giudice precostituito per legge tutelato, pur con diverse sfumature, dagli artt. 6 CEDU e 47, § 2 CDFUE. L’eterogeneità, in parte qua, del background giuridico induce, in prima battuta, a interrogarsi circa la valenza transazionale del concetto di giudice precostituito per legge (art. 47, § 2 CDFUE) e, in caso di risposta affermativa, della compatibilità tra questo e la Decisione quadro del 2009.
In ambito transnazionale, occorre, inoltre, rilevare come il principio della precostituzione legale del giudice possa avere delle ripercussioni sul principio di legalità sostanziale (art. 49 CDFUE). Difatti, nel caso in cui due Stati membri rivendichino per sé la potestà punitiva, dall’individuazione della giurisdizione competente dipenderà la legislazione nazionale applicabile: non solo le norme di carattere processuale ma anche quelle di matrice sostanziale che il soggetto dovrà osservare al fine di non commettere reati. La presenza di criteri predeterminati idonei a ripartire la giurisdizione tra i vari Stati (ex art. 47, § 2 CDFUE) è dunque necessaria per garantire al soggetto la prevedibilità della giurisdizione competente e, altresì, delle fattispecie incriminatrici. In ossequio al principio nulla poena sine culpa, infatti, il cittadino europeo potrebbe essere chiamato a rispondere penalmente solo se abbia tenuto volontariamente un comportamento contra legem. In questa prospettiva, occorre pertanto valutare la compatibilità della Decisione quadro con l’art. 47, § 2 CDFUE, tenendo conto degli “effetti riflessi” che la violazione del principio di precostituzione legale del giudice (art. 47, § 2 CDFUE) genera su quello di legalità sostanziale (art. 49 CDFUE) nel contesto europeo.
In secondo luogo, dall’articolato della Decisione quadro sembra emergere una totale indifferenza rispetto alla tutela della sfera giuridica tanto dell’indagato, quanto delle vittime. Da un lato, i primi potrebbero dover patire gli effetti pregiudizievoli di indagini parallele o, ancor peggio, di processi paralleli; dall’altro, le seconde, specularmente, dovrebbero far valere le loro pretese nei diversi Stati in cui si sta procedendo per la condotta criminosa che hanno subito. Il noto principio del ne bis in idem europeo (artt. 54-58 CAAS e 50 CDFUE) rappresenta solo una extrema ratio, non in grado di assicurare una protezione adeguata ai diritti dei soggetti coinvolti nella dinamica processuale: è dunque necessario anticipare la soglia della tutela al momento genetico del processo, in modo da bilanciare le istanze repressive e quelle di tutela dei diritti fondamentali.
In particolare, al fine di tutelare i diritti di difesa (art. 48, § 2 CDFUE), occorre evitare abusivi fenomeni di forum shopping da parte delle autorità procedenti, ossia impedire a queste ultime di individuare la giurisdizione competente nello Stato che, per esempio, presenti una legislazione più favorevole agli interessi dell’accusa. Di contro, sarebbe opportuno che i legittimi interessi dei soggetti coinvolti in procedimenti paralleli fossero tenuti in debita considerazione nelle dinamiche inerenti alla scelta del foro. Da questo angolo visuale, occorrerà dunque valutare la compatibilità della Decisione quadro 2009/948/GAI con i diritti di difesa degli individui coinvolti in procedimenti paralleli.
In questa prospettiva, sarebbe quantomai opportuno individuare alcune possibili guidelines per una modifica del quadro legislativo vigente: è necessario, infatti, mettere a punto un sistema di allocazione efficiente dell’esercizio della potestà punitiva in grado di bilanciare le esigenze di law enforcement e la tutela della sfera giuridica di coloro che si muovono nel territorio europeo.