Il diritto penale di fronte al freno di emergenza della storia
Molto è cambiato dai giorni delle polemiche sulla concezione populistica e autoritaria che ha prodotto il diritto penale “spazza” e i decreti sicurezza all’epoca del governo gialloverde. Era frutto di un’idea salvifica e promozionale (e autoritaria) dello strumento che ha radici lontane, ma che in quel contesto ha celebrato i suoi fasti, con l’incremento esponenziale della legittimazione di chi se ne faceva portavoce come occasione privilegiata del proprio consenso politico.
Non ci riferiamo al cambiamento dell’equilibrio politico delle forze di governo - destinato alle mutazioni eventuali di una prossima scadenza elettorale – ma all’irrompere della pandemia del SARS-Covid 19, che ha svelato la fragilità del sistema punitivo come strumento di tutela rispetto a fenomeni sistemici e di portata globale.
Non a caso dopo i primi tentativi di concepire disposizioni penali nella primavera del 2020 rispetto ai comportamenti disobbedienti si sono rapidamente convertiti in una sanzione amministrativa, destinata per di più a essere scarsamente praticata.
Le limitazioni della libertà personale adottate, peraltro molto significative – è valsa la pena ribadire la garanzia del principio di legalità e dunque un’attenzione alla gerarchia delle fonti lasciando almeno formalmente un ruolo decisivo a quella parlamentare - hanno rimandato all’organizzazione di un consenso di massa sull’opportunità della loro adozione.
Ciò ha implicato una progressiva riduzione del conflitto tra le forze politiche e sociali, fino a sfociare in un governo di tutti (o quasi) sotto la guida di una personalità unanimemente riconosciuta come capace di essere guida del Paese in un contesto divenuto molto complesso e difficile anche sul piano economico.
Non sappiamo quanto si prolungherà la pandemia, destinata a ridurre i suoi effetti più gravi, ma non ad esaurirsi nel breve periodo, tenuto conto anche della globalizzazione inestricabile del contagio. Possiamo però ipotizzare che la pandemia non abbia certamente esaurito i fenomeni drammatici che abbiamo alle porte. L’accelerazione della crisi ambientale, di cui son indicativi gli spaventosi incendi che hanno sconvolto intere fette di territorio dall’Australia alla California, dalla Russia Siberiana al Mediterraneo, l’accelerazione dello scioglimento dei ghiacci della calotta polare e dell’Antartide rende ipotizzabile (e auspicabile) che, in un volgere ragionevole di tempo, vengano introdotte misure drastiche di governo del territorio per cercare di contenere il fenomeno, con nuovi modelli di controllo e inevitabili restrizioni della nostra libertà e un depauperamento degli strumenti dialettici ai quali abitualmente ad affidiamo le sorti della democrazia.
Il modello dello stato di eccezione che abbiamo sperimentato con il Covid SARS 19 – i decreti-legge emessi sono stati applicati in coerenza con i presupposti costituzionali dell’istituto relativi all’eccezionale necessità ed urgenza della loro immediata vigenza – potrà riprodursi, accelerando inevitabilmente il ruolo decisionista dell’esecutivo rispetto al successivo controllo parlamentare compresso dall’inevitabile unanimismo prodotto dall’emergenza.
L’emergenza climatica in una proiezione di lungo periodo dovrà fare inevitabilmente i conti da un lato su una cooperazione internazionale in grado di imporre misure adeguate a livello globale, abdicando a ogni pretesa sovranista, e, dall’altro, su una dimensione volontaristica proiettata sull’accettazione largamente maggioritaria delle misure, con quel che ne consegue in termini di riduzione delle diseguaglianze sociali e di creazione di meccanismi di solidarietà civile.
Siamo dunque lontani dal potere ipotizzare che una qualche forma di tutela possa venire dal modello penalistico incentrato sull’efficacia simbolica e preventiva della sanzione ben più che sulla sua applicazione coercitiva (solo esemplare e paradigmatica).
Tanto più se il modello penalistico dovesse tradursi, in nome dell’efficienza, su automatismi inaccettabili in sede applicativa (algoritmi e presunzioni di pericolosità) destinato a produrre lacerazioni ingiustificate del tessuto sociale oltre che a gravare sulla libertà personale in modo spesso arbitrario.
Se, come ricorda Slavoj Zizek (“Un’uscita di sicurezza per l’umanità”, Internazionale, 22 luglio 2021), riprendendo un’espressione di Walter Benjamin, “dobbiamo tirare il freno di emergenza del treno della storia” occorre riportare a questa riflessione anche il dibattito sull’uso del diritto penale e sulla tutela delle nostre libertà politiche e civili in questo ambito.