A seguito dell’introduzione della Legge 20 maggio 2016 n. 76, c.d. Legge Cirinnà, il nostro ordinamento ha finalmente incluso la disciplina delle coppie dello stesso sesso, a seguito di una serie di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte costituzionale italiana.
Tuttavia, la scelta operata dal legislatore è stata netta nel senso di distinguere le convivenze di fatto e le unioni fra coppie omosessuali dal regime matrimoniale, escludendo qualsiasi profilo di genitorialità. Tale distinzione non è sfuggita all’attenzione dei giudici comuni che, attraverso l’obbligo di dare una interpretazione costituzionalmente orientata alla legge, non di rado hanno finito per forzare il riconoscimento della c.d. step child adoption.
Sebbene dopo alcuni anni sembra superato il problema della trascrizione anagrafica del genitore non biologico omosessuale, la giurisprudenza si è conformata alla posizione della Corte costituzionale riconoscendo la lacuna legislativa e l’impossibilità di offrire la migliore tutela ai figli di coppie omosessuali (Trib. Torino decr. 1133/2021).
Tale limite, però, si pone in contrasto con il diritto internazionale sui diritti del fanciullo, benché la Corte EDU si sia fermata a riconoscere la necessità di regolamentare la situazione giuridica delle coppie omossessuali senza implicare il dovere di stabilire il matrimonio egualitario per tutti gli stati aderenti.
In conseguenza, è emersa in diversi stati d’Europea una categoria di minori in deficit di tutela qualificati come “non riconoscibili”, giacché accompagnati da almeno un genitore non biologico al quale è impedito di ottenere il riconoscimento del rapporto di filiazione.
Se, da un lato, si tratta di un problema per il sistema di welfare che rileva una serie di genitori single in luogo di situazioni famigliari ben diverse, dall’altro, il disallineamento nell’esercizio della potestà genitoriale implica una serie di inconvenienti che solo in parte possono essere compensati attraverso gli istituti di autonomia privata.
Il contributo della Sen. Monica Cirinnà si propone di ricostruire l’iter legislativo della legge sulle unioni civili della quale è stata prima firmataria, mettendo in evidenza le problematiche emerse in merito ai profili legati alla filiazione.
Monica Cirinnà è una politica italiana che ha ricoperto l’incarico di Senatrice della Repubblica nelle Legislature XVII e XVIII (2013-2022). Laureata in giurisprudenza presso l’Università di Studi La Sapienza di Roma, nel corso dei due mandati legislativi svolti è stata, tra l’altro, membro della Commissione Giustizia nonché membro della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. E’ stata proponente e prima firmataria della Legge n. 76/2016 che ha introdotto nell’ordinamento italiano la prima forma legislativa di ttutela delle coppie dello stesso sesso.