Pubblicati nuovi volumi della collana del Seminario giuridico in modalità Open Access
Si tratta del lavoro di Alessia Legnani Annicchini, di Sonia Abis e di Chiara Bologna.
Pubblicato: 19 dicembre 2020 | Libri
Sono usciti dei nuovi volumi in modalità Open Access della collana editoriale "Seminario giuridico della Università di Bologna". Con più di 300 titoli pubblicati a partire dal 1913, il Seminario giuridico della Università di Bologna costituisce la collana di riferimento per la pubblicazione di monografie, collettanee e atti di convegni di docenti, ricercatori ed assegnisti del Dipartimento di Scienze Giuridiche.
Si tratta dei seguenti volumi:
- Legnani Annicchini A., Avvocati indisciplinati. I procedimenti del Sindacato Fascista degli Avvocati e dei Procuratori di Bologna (1934-1942), 2020 [OPEN ACCESS - PDF]
- Abis S., Capace di intendere, incapace di volere. Malinconia, monomania e diritto penale in Italia nel XIX secolo, 2020 [OPEN ACCESS - PDF]
- Bologna C., La libertà di espressione dei «funzionari», 2020 [OPEN ACCESS - PDF]
- Mattheudakis M. L., L’imputazione colpevole differenziata, 2020 [OPEN ACCESS - PDF]
- Tega D., La corte nel contesto. Percorsi di ri-accentramento della giustizia costituzionale in Italia, 2020 [OPEN ACCESS - PDF]
- Caruso C., La garanzia dell'unità della Repubblica. Studio sul giudizio di legittimità in via principale, 2020 [OPEN ACCESS - PDF]
- Medina M.H., Servio Sulpicio Rufo: un retrato final desde la perspectiva de Cicerón, 2020 [OPEN ACCESS - PDF]
- Centamore G., Contrattazione collettiva e pluralità di categorie, 2020 [OPEN ACCESS - PDF]
Alessia Legnani Annicchini, Avvocati indisciplinati. I procedimenti del Sindacato Fascista degli Avvocati e dei Procuratori di Bologna (1934-1942)
Nato da un’originale indagine archivistica presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Bologna, il volume ricostruisce i procedimenti disciplinari nei confronti dei professionisti del foro cittadino negli anni in cui il controllo sull’avvocatura fu esercitato dal Sindacato fascista. Emerge come i giudizi disciplinari pertinenti all’ambito politico rappresentino un numero esiguo, a testimonianza di come la maggioranza degli avvocati bolognesi manifestasse almeno formalmente una posizione allineata al Regime e di come l’eventuale lontananza di taluni dalla politica dello stato fascista non pregiudicò l’esercizio della loro professione.
Sonia Abis, Capace di intendere, incapace di volere. Malinconia, monomania e diritto penale in Italia nel XIX secolo
Il volume offre un’analisi storico-giuridica del suggestivo tema della follia lucida giuridicamente rilevante in criminalibus (malinconia criminale, monomania omicida, mania sistematica omicida) in un’ottica pluri-dimensionale che sottolinea l’incontro, nel XIX secolo, fra consolidati assetti normativi e irrompenti innovazioni scientifiche. Un secolo nel quale la prospettiva inedita della scienza psichiatrica relativamente alle ‘malattie della volontà’ influenzò ampiamente l’approccio della medicina legale ai vizi della mente, imponendo alla legislazione e alla dottrina penalistica ripensamenti e revisioni.
Chiara Bologna, La libertà di espressione dei «funzionari»
Il ruolo cui sono chiamati i pubblici funzionari e i relativi vincoli che questi hanno di imparzialità e servizio nell’interesse della collettività, insieme alla tutela dell’efficienza
dell’amministrazione, sembrano essere in molti Paesi alla base di discipline che richiedono ai pubblici impiegati peculiari doveri di riserbo.
La presenza anche in Europa di tradizioni giuridiche che impongono forme di «moderazione» ai funzionari pubblici è alla base dei principi applicati in materia tanto dalla Corte di giustizia quanto soprattutto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Al contempo, però, i fatti più recenti avvenuti proprio in alcuni Stati europei rendono nuovamente attuale la questione dei limiti che gli ordinamenti costituzionali liberal-democratici devono porre ai pubblici poteri quando questi restringono l’esercizio della libertà di espressione dei propri funzionari. I licenziamenti di massa avvenuti in Turchia dopo il tentato golpe del 2016 o la cessazione anticipata del mandato dei giudici in Ungheria ci ammoniscono sui rischi di ogni forma di limitazione della libertà di espressione e in particolare delle limitazioni applicate ai dipendenti pubblici, necessari, più di tutti, alla costruzione di un’«ortodossia politica» di Stato e più di tutti esposti a divenire, nelle democrazie instabili, nuovi «vassalli».
In riferimento all’ordinamento italiano diviene necessario stabilire se quest’ultimo permetta, preveda o addirittura imponga il rispetto, da parte del pubblico dipendente, di un peculiare dovere di riserbo. Nell’ambito della categoria dei «funzionari», intesi estensivamente quali titolari di pubbliche funzioni, uno spazio di riflessione specifico, legato alle peculiarità delle mansioni svolte, non può non essere riservato all’esercizio della libertà di espressione da parte dei magistrati, che talvolta, come ebbe a sottolineare il Presidente della Repubblica Napolitano, si rendono protagonisti di dichiarazioni «esorbitanti i criteri di misura, correttezza espositiva e riserbo» contribuendo a «disorientare i cittadini».