Il binomio lavoro/povertà che caratterizzava il lavoro dell'Ottocento e della prima metà del Novecento è tornato di estrema attualità nel Ventunesimo secolo (AGENDA GLOBALE 2030), sì da imporre una nuova riflessione giuridica relativa alla perdurante centralità, nell'ordinamento italiano, del «lavoro» che costituisce ex art. 1 Cost. il fondamento dell’ordine politico e il titolo della legittimazione civile e politica in quanto strumento dell’emancipazione individuale e sociale della persona. Guardando all'Europa, se da un lato, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea pone il diritto al lavoro sullo stesso piano delle libertà, non essendoci una gerarchia né il riconoscimento di uno statuto privilegiato per il lavoro, tanto da appiattire il valore del lavoro sul diritto a lavorare, dall'altro, emerge da parte delle istituzioni UE l’attenzione costante per il lavoro quale elemento fondante le società democratiche: l’aumento dell’occupazione costituisce infatti uno degli obiettivi principali della STRATEGIA EUROPA 2020, insieme a quello della lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Nella Costituzione italiana il «lavoro» porta con sé anche il diritto ad una retribuzione proporzionata e sufficiente tale da garantire un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore e alla sua famiglia (art. 36 Cost.) così evidenziando che il lavoro rappresenta lo strumento per tutelare la dignità della persona e consentirne il pieno sviluppo nonché l’esercizio dei diritto civili e politici. L’Italia, dunque, è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, ma se questo è fonte di povertà si mette in discussione lo stesso fondamento della democrazia. Il lavoro, in una prospettiva valoriale, è quindi il “lavoro dignitoso”, c.d. decent work, antagonista del fenomeno opposto, quello della “in-work poverty” e dei “working poor”, cioè dei lavoratori poveri nonostante un’occupazione.
Partendo dai dati sulla povertà assoluta e relativa, e circoscrivendo l’area di indagine ai working poor, la ricerca ha l’OBIETTIVO di individuare — se necessario anche oltre i confini del diritto del lavoro — le tecniche rimediali idonee alla tutela dei principi nei quali si riflettono i valori della persona, posti dalla Costituzione repubblicana e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, e a contrastare il fenomeno sempre più preoccupante della povertà “nel” lavoro e “nonostante il” lavoro. La quarta rivoluzione industriale e la “platform/on-demand economy” sono fenomeni forieri di nuove opportunità occupazionali ma anche di insidiose difficoltà sia per chi cerca un lavoro sia per chi lo ha già trovato, mettendo a dura prova non solo le categorie giuridiche tradizionali (a partire da quella fondante della distinzione tra lavoratore autonomo e lavoratore subordinato), ma anche l’orizzonte valoriale in cui tali categorie si inseriscono. I cambiamenti dell’economia globale, della tecnologia e dell’organizzazione delle imprese e il parallelo fenomeno della in-work poverty, impongono anche ai giuristi una riflessione sulle possibili tecniche rimediali per realizzare una migliore collocabilità dei lavoratori nel mercato, specie alla luce della difficoltà di definire lo standard di lavoro dignitoso, in una economia sempre più fondata sull'intelligenza artificiale, sugli algoritmi piuttosto che sulle persone, sul lavoro occasionale, a termine e a tempo parziale. La ricerca, di stampo marcatamente giuridico ma attenta alle ricadute economiche del fenomeno, alla luce della normativa nazionale, dell’UE e internazionale e della contrattazione collettiva, si propone di: analizzare il fenomeno dei WORKING POOR, definire la nozione di DECENT WORK, studiare le politiche e gli strumenti di contrasto al lavoro povero per realizzare un livello di REDDITO ADEGUATO, tra cui spicca la PROFESSIONALITA', con il suo corredo di precipitato formativo e informativo, leva essenziale per una dignitosa sopravvivenza dei lavoratori nella quarta rivoluzione industriale, antidoto alla in-work poverty e alle nuove forme di asservimento dei working poor alle macchine e alle piattaforme digitali. Considerare la professionalità come bisogno sociale, forma di riscatto dalla povertà e strumento di occupabilità implica anche un’indagine sul suo ruolo all'interno nel contratto di lavoro subordinato e autonomo, sul riparto di competenze tra Stato e Regioni in tema di istruzione e formazione professionale nonché sul ruolo degli enti di formazione, in primis dell'Università, con riguardo sia alla formazione universitaria sia a quella permanente, affrontando anche il profilo della formazione dei formatori in grado di impartire saperi utili per il mercato. SCOPI finali della ricerca sono: incrementare la conoscenza in ambito giuridico di una materia che è stata studiata prevalentemente adottando un approccio economico, statistico e sociologico; ipotizzare soluzioni e progettualità che possano costituire un punto di riferimento per gli attori politici e sociali.