ABSTRACT
LA “CULTURA DEL PRECEDENTE”: QUALE RUOLO PER IL GIUDICE PENALE?
Alessandra Santangelo
La realtà delle leggi e della legislazione nazionale – che caratterizza la fase di transizione dell’«era pos-moderna» – infrange il sogno di un «rigido Stato legislativo» perfino in materia penale. Come puntualmente osservato dalla dottrina, le decisioni del giudice di legittimità, in particolare se a sezioni unite, costituiscono una sorta di «interpretazione autentica» della legge così che diviene impossibile «esattamente calcolare gl’inconvenienti di un misfatto» se non ricostruendo l’orientamento seguito dalle alte corti nel conformare il precetto penale. In questa prospettiva, non si può tralasciare il ruolo esercitato dalla giurisprudenza convenzionale i cui stilemi si riflettono nell’attenzione che, sempre più di frequente, le autorità giudiziarie interne riservano alla prevedibilità della soluzione interpretativa adottata in relazione al modello sostanzialistico di cui all’art. 7 CEDU.
Non stupisce allora che, mentre sfuma il confine imposto dai «cancelli delle parole», la diffusione nel linguaggio delle corti – così come negli studi accademici – di espressioni come precedente, overruling o distinguishing sia considerata quale diretta conseguenza della progressiva assimilazione del sistema penale al modello di common law. È in questo contesto, del resto, che il nuovo volto della nomofilachia tratteggiato dalla riforma Orlando è descritto come ulteriore riprova del diffondersi della “cultura del precedente”, in un sistema pur fondato sulla riserva di legge e sulla soggezione del giudice alla legge.
Ebbene, a fronte della necessità di scongiurare interventi “a sorpresa” della sanzione penale che impediscano libere scelte di azione, numerose questioni problematiche affiorano laddove si tenti di contemperare l’esigenza di prevedibilità della qualificazione giuridica del fatto con la necessità di proteggere l’anima “politica” che contraddistingue il nullum crimen. È, infatti, proprio lo studio comparato del diritto penale d’oltremanica che mette in luce la disparità di approcci con riguardo non solo al metodo che orienta il formate giurisprudenziale bensì, pure, ai criptotipi rilevanti e ai canoni che indirizzano il legal reasoning. Rimane, dunque, da chiedersi se sia possibile individuare una tradizione giuridica comune che consenta di trarre beneficio dall’esperienza secolare acquisita dal common law, secondo i peculiari dettami dello stare decisis, nel bilanciare le iniziative giurisprudenziali con l’esigenza di proteggere il rule of law così da assicurare, soprattutto in materia penale, un «government by law and not by men».